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12.3.2010, 17:21 - Archivio

Transporter: un successo iniziato 60 anni or sono

Correva l’anno 1950, l’8 marzo per la precisione. È l’inizio di un successo mondiale. Quel giorno, dalle catene di montaggio di Wolfsburg escono i primi dieci esemplari del Volkswagen Transporter. Esattamente sei anni più tardi, dopo circa 160'000 unità prodotte, il nuovo stabilimento di Hannover rileva la produzione del Transporter. Complessivamente, fino al 1967 e nella sola Germania sono stati prodotti più di 1,83 milioni di esemplari del “Bulli” della prima generazione, oltre 10 milioni fino ad oggi. Costruiti a mano e internamente identificati con la sigla “Tipo 29”, i primi otto esemplari del nuovo Transporter sono già una realtà quando nel marzo del 1950 i primi Transporter (Tipo 2 “T1”) lasciano le catene di montaggio. I sei furgoni e i due pulmini della serie di prototipi sono utilizzati per presentazioni varie, a prescindere se nell’ambito di sondaggi fra i clienti oppure per mostrare il veicolo alla stampa. Ma nella primavera del 1950 i tempi sono già maturi: le conoscenze raccolte durante i primi anni di sviluppo prendono forma, e parliamo di conoscenze – o “know-how” come si direbbe oggi – come quelle che vogliono che il Transporter non debba più poggiare come progettato all’inizio sulla piattaforma del Maggiolino (Tipo 1), ma su un pianale specifico e rinforzato. La tecnologia viene ripresa dagli autoveicoli Volkswagen, motore e cambio provengono infatti dalla vettura sinonimo della mobilità dei tedeschi nel dopoguerra (il Maggiolino). 25 CV: è questa la potenza che all’occorrenza deve farsi carico di trasportare 750 kg di peso, ossia il carico massimo omologato. Anche se non proprio sovramotorizzato, dal primo giorno il nuovo Transporter svolge il suo lavoro in modo altamente affidabile, senza mai lamentarsi. All’inizio, l’accesso al vano di carico (4,6 m3) è possibile unicamente tramite due porte a battente sul lato destro, che nel 1951 diventano quattro grazie ad altre due sul lato sinistro, anche se solo opzionali. Alla parte posteriore è invece possibile accedere unicamente tramite un piccolo sportello, anch’esso opzionale. Sfortunatamente lo sportello – grande quanto una “porta di granaio” (“barndoor” in inglese) – altro non è che il cofano motore. Quest’ultimo protegge dagli occhi indiscreti gli immensi spazi del vano motore, i l quale ospita anche il serbatoio e la ruota di scorta. Solo fino al 1955, quando la ruota di scorsa trova un posto (o più propriamente un nascondiglio) dietro il sedile anteriore, quando le dimensioni del portellone del vano motore si riducono della metà e quando un portellone supplementare dotato di finestra e direttamente sopra il portello-cofano motore consente finalmente di accedere al vano di carico. Nel ’55, il Transporter viene anche equipaggiato con un “climatizzatore” ante litteram, ovvero una piccola sporgenza sullo spigolo anteriore del tetto per far confluire aria fresca nell’abitacolo. Oltre a ciò, la dotazione di serie prevede anche un cruscotto continuo in lamiera, che per un primo momento non apporta alcuna modifica all’impianto infotainment: il conducente deve infatti continuare a fidarsi del tachimetro e di quattro spie luminose per capire lo stato di salute della tecnica di bordo. Eh sì, solo quattro spie: frecce, anabbaglianti, pressione dell’olio, carica della batteria e basta! Ma almeno c’è posto per una radio (rigorosamente optional), un portacenere, una maniglia, un orologio (di serie nel “Samba” prodotto dal 1951 in poi) e per l’indicatore del livello della benzina, introdotto nel 1961 affinché il conducente avesse più o meno un’idea di quanto carburante ci fosse ancora nel serbatoio. Prima di allora, appena il motore iniziava a “singhiozzare” (per la cronaca: nel frattempo il motore aveva raggiunto la bellezza di 34 CV), l’autista doveva piegarsi per aprire sotto il sedile la condotta della riserva. I primi anni Sessanta coincidono con l’arrivo di ulteriori novità: una di queste è il sedile conducente separato, fra l’altro regolabile, che garantisce una seduta più confortevole anche alle persone meno slanciate. L’innovazione principale riguarda comunque il nuovo potenziamento del motore: a partire dal 1963, il boxer da 42 CV originariamente destinato al solo mercato statunitense fa sentire il suo rombo anche sulle strade del Vecchio Continente. In aggiunta, questo 1,5 litri di cilindrata fa per la prima volta varcare al Bulli la fatidica soglia dei 100 km/h (a vuoto). Due anni prima della fine della produzione, gli ingegneri regalano al propulsore due ulteriori cavalli di potenza. E come se non bastasse, tutte le versioni Transporter sono equipaggiate di serie con l’impianto elettrico di bordo da 12 Volt. Nel mese di luglio del 1967, dopo oltre 17 anni di gloria, si chiude il capitolo della produzione della prima generazione del Transporter in Germania. Ma solo in German ia, perché in Brasile il T1 viene prodotto dal 1957 fino al 2000. In totale, gli stabilimenti carioca, messicani e tedeschi “sfornano” ben 2,9 milioni di esemplari della prima generazione del Bulli.
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